Si dice “a pelle” per esprimere una sensazione, dopo un incontro con una persona che, bene o male, ha lasciato una traccia. Sono emozioni che si trasmettono, si percepisce l’altro mediante dei sensori che ci appartengono e senza rendercene conto entriamo in comunicazione. Sono tanti i messaggi veicolati dagli occhi, dallo sguardo, dalla stretta di mano, dal corpo che incosciamente si ritrae o si propone. Sono moti istintivi che svelano l’inconscia necessità dell’uomo di entrare in contatto e fare del proprio corpo l’elemento primario di conoscenza.
Fin dai primordi, quegli ominidi dall’andatura goffa ed un corpo fin troppo peloso, in un lungo processo durato milioni di anni, lentamente si eressero e le zampe anteriori divennero uno strumento prensile atto alla caccia, a raccogliere bacche e frutti esotici, ad afferrare brandelli di carne per cibarsi, a lasciare tracce di sé grazie all’uso delle mani.
Una nuova modalità di comunicazione si rese necessaria: schematica, immediata, incisiva affinché gli spostamenti sul territorio fossero noti ai membri del gruppo di appartenenza.
La “scrittura”, come veicolo di informazione, divenne inevitabile e scene di vita quotidiana vennero rappresentate incidendo sulla pietra l’evento da comunicare e pitturando sul corpo segni distintivi propri di ogni tribù.
Una nuova avventura ebbe inizio, straordinariamente evoluta per un organismo vivente, mammifero, ormai bipede, ma pur sempre con uno sviluppo intellettivo deputato alla sola conservazione della specie.
In molte società tribali si utilizzò il corpo come tela per dipingere e con segni e simboli dichiarare lo stato sociale, allontanare gli spiriti maligni, propiziare la fertilità, ma sempre la molla è stata l’abbellimento della persona, è stata la volontà di esibirsi.
Poi venne il tempo di fissare in forma grafica idee e sentimenti e i pittogrammi risultarono inadeguati: si può comunicare in forma schematica un albero, una casa, un animale, ma non si può rappresentare l’emozione di un amore, il dolore di una perdita, una qualsiasi forma di astrazione.
La comunicazione scritta divenne la traccia visiva di suoni verbali trasformati in parole e, di conseguenza, in segni grafici significanti.
La pelle come “foglio” per fermare attimi vissuti, per raccontare momenti dolenti o felici da non dimenticare. Le motivazioni sono infinite, anche semplicemente estetiche, bisogno di soddisfare la parte più esibizionista che si annida in noi.
La pelle come “pagina” su cui scrivere mediante immagini e parole, il libro della propria vita, come se la vita avesse bisogno di rendersi visibile per essere vissuta.
La pelle come “libro” dove incidere parole alla rinfusa, parole che si intrecciano, frasi sussurrate che intime dovrebbero rimanere, versi di canzoni che riscaldano tanti attimi di vita.
Tatuaggi, nati con l’uomo, presenti lungo tutto il suo percorso, praticati da popoli lontani nello spazio e nel tempo, marchio distintivo di un mondo emarginato: galeotti, marinai, camionisti…
Tatuaggi, ormai mezzo di comunicazione deambulante con storie di vita che spuntano dai polsini delle camicie, che si intuiscono invadere un corpo che da tempo ha dimenticato il suo colore, il suo sapore. La pelle come “libro”con pagine di vita vissuta che nessuno leggerà mai.
Sandra Raspetti